Anche l'Archivio di Stato di Bologna ha aderito alla campagna social #iorestoacasa, nata spontaneamente per invitare gli italiani a rimanere a casa per contenere la diffusione del Covid-19 e sostenuta dal Mibact, pubblicando sul proprio sito istituzionale e sulla pagina facebook del Chiostro dei Celestini. Amici dell'Archivio di Stato di Bologna alcuni dei documenti più significativi conservati nei suoi fondi e invitando i cittadini a riscoprire alcuni luoghi della città attraverso le carte d'archivio. In questi giorni sarà inoltre inaugurata una nuova rubrica dedicata al glossario archivistico, un'occasione per approfondire le proprie conoscenze o per scoprire qualcosa di nuovo!
In collaborazione con il Chiostro dei Celestini. Amici dell'Archivio di Stato di Bologna.
#iorestoacasa #itesoridellarchivio #laculturanonsiferma #riscoprirebologna #tourvirtuale
01. Il documento più antico dell'Archivio
Cominciamo col documento più antico dell’Archivio di Stato di Bologna che è anche, in assoluto, il più antico documento bolognese conservato in originale: la concessione livellaria (il contratto di locazione più comune, assieme alla precarìa, nell’alto Medioevo) del conte Angelberto e di sua moglie Maria a Orso del fu Costantino e Pietro del fu Domenico. Il documento, sottoscritto a Bologna il 1° dicembre 922, è oggi conservato nel fondo delle Corporazioni religiose soppresse, S. Stefano, 31/467
02. Lettera di Alfonso d’Aragona
Oggi vi mostriamo una lettera di Alfonso d’Aragona al Comune di Bologna del 28 giugno 1442.
Alfonso, detto il Magnanimo, re di Aragona e di Sicilia, comunica ai bolognesi la notizia della recente conquista di Napoli, cui seguì l’unione sotto la Corona di Aragona anche dei territori continentali dell’Italia meridionale.
Comune. Governo, Lettere al Comune, 414
03. Domenica Maria Bettini
#iorestoacasa e leggo la lettera che il commerciante austriaco Francesco Antonio Wolfart scriveva da Loeben il 1° marzo 1774 a Domenico Maria Bettini, titolare di una delle principali manifatture di veli di seta a #Bologna.
Il Bettini era mercante imprenditore: acquistava la materia prima, i bozzoli da seta, e ne assegnava la lavorazione ad operai specializzati, che lavoravano presso botteghe artigiane oppure a domicilio. Il prodotto finito, il velo tessuto, veniva poi depositato nel magazzino del "negozio" e da qui veniva distribuito nelle principali città italiane ma anche in numerose località dell’Europa centrale. Le ordinazioni provenivano sia da acquirenti privati che da compratori all'ingrosso.
Ma dal 1778 la corrispondenza commerciale coi paesi d’Oltralpe si fece discontinua, per cessare definitivamente nel 1785. Anche l’attività del Bettini venne così travolta dalla crisi del commercio della seta che nella seconda metà del '700, a Bologna, era ormai un fenomeno irreversibile, e il primo marzo 1789 il "negozio per la fabbrica dei veli" chiuse.
Negozio per la fabbrica dei veli di Domenico Maria Bettini, 45
04. Il parco della Montagnola
Nell'ambito della campagna #iorestoacasa, inauguriamo oggi un percorso virtuale della nostra amata Bologna. Lo facciamo,come sempre, attingendo al prezioso patrimonio documentario conservato presso l'Archivio di Stato di Bologna. Buon tour a tutti!
Il parco della #Montagnola deve la sua attuale conformazione alla volontà e all'ingegno di #Napoleone. L'imperatore Bonaparte, che era uso occuparsi personalmente degli affari che gli stavano più a cuore, volle infatti che l’architetto Giovanni Battista Martinetti si attenesse ai modelli geometrici dei giardini francesi e progettasse, oltre al parco, una promenade dalla quale i bolognesi avrebbero potuto ammirare la città da una nuova suggestiva prospettiva.
Catasto Gregoriano, mappe, particolare del parco della Montagnola
05. Matricole e statuti della società di Sant'Eustacchio
Oggi vi mostriamo il codice miniato n. 28, che contiene, nella prima parte, la matricola dei confratelli di Sant'Eustacchio del 1396 e ospita, alla carta 1 recto, una #miniatura coeva che illustra la conversione del santo, a cui, durante l'inseguimento di un cervo, appare fra le corna dell'animale il Cristo crocifisso. La stessa scena col racconto dell'apparizione miracolosa e una Crocifissione introducono la seconda parte del codice, con gli statuti e la matricola del 1422. La miniatura trecentesca veniva genericamente attribuita dal Malaguzzi Valeri alla “scuola bolognese”, anche se lo stesso studioso avanzava in via ipotetica la candidatura di un "Jacobus pictor", immatricolato fra gli altri confratelli del 1396. In realtà il fregio, che, fra le consuete borchiette dorate, si dirama dal capolettera lungo tre margini della pagina, conduce in modo inequivocabile alla bottega di Stefano Azzi: il profilo delle foglie d'acanto rosa, le loro volute ripiene d'azzurro, l'andamento sinuoso degli altri elementi floreali sono perfettamente sovrapponibili a quelli di codici attribuiti con sicurezza a Stefano, come lo statuto dei notai del 1382. Anche la fisionomia del santo, il suo abbigliamento elegante, con i calzari profilati, il copricapo e il mantello e la vivace resa della scena di caccia, sembrano confermare questa attribuzione. Per quanto riguarda invece le miniature quattrocentesche, studiate per la prima volta da Silvia Battistini, esse possono essere inquadrate nel clima culturale del Tardogotico bolognese.
Matricole e statuti della società di Sant'Eustacchio (codice miniato n. 28)
06. I teatri Malvezzi e Marsigli Rossi
Continuiamo il tour virtuale per le vie della nostra amata #Bologna e scopriamo la storia di due teatri oggi scomparsi: il teatro Malvezzi e il teatro Marsigli Rossi!
Bologna ebbe nel corso del XVIII secolo, grazie soprattutto al mecenatismo e alla passione di alcune famiglie eminenti, un ruolo da protagonista nel panorama musicale italiano in genere e operistico in particolare: il #melodramma era allora uno spettacolo di nuovo tipo, che però, con il suo fascino e la sua raffinatezza, aveva via via conquistato un pubblico sempre più appassionato.
Il grande successo riscosso dallo spettacolo lirico aveva favorito il consolidarsi di un sistema teatrale ben organizzato, con una autentica stagione operistica, la stagione del #Carnevale, che prevedeva un vero e proprio cartellone per ogni palcoscenico, con numerosissimi spettacoli e tante repliche, cui accorrevano schiere di spettatori. I palcoscenici bolognesi in attività a quell’epoca erano davvero tanti, circa una quarantina, e molti di essi erano teatri di palazzo e sale di dimore signorili.
Il #teatro #Malvezzi, ad esempio, che sorgeva in un palazzo di proprietà della nobile famiglia Malvezzi, nei pressi dell’attuale via Belmeloro e che cominciò a funzionare nel 1653, era per quel tempo un teatro di medie dimensioni, con quattro file di sedici palchi. Nella notte tra il 19 e il 20 febbraio 1745, al termine di uno spettacolo, un incendio distrusse interamente il teatro, che come all’epoca si usava era costruito in legno. Non fu mai più riedificato, ma nella stessa zona venne eretto, circa vent’anni dopo, il Teatro comunale.
Dal 1710 funzionava anche, in Strada Maggiore, di fronte al portico dei Servi, il teatro #MarsigliRossi, che ebbe però una fine piuttosto ingloriosa: fu abbandonato infatti nel 1825 a causa del suo stato di grave degrado, che lo rendeva ormai non più idoneo ad ospitare spettacoli.
Avviso per uno spettacolo al teatro Malvezzi (Marsigli, 285-286-287)
07. Il "Liber Paradisus"
Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta dei tesori dell'Archivio di Stato di Bologna. Il documento di oggi è uno dei più noti e dei più preziosi tra i documenti conservati dall'Istituto: il Liber Paradisus, "il memoriale dei servi e delle serve che sono stati liberati dal Comune di Bologna".
Nel 1257, il Consiglio del Popolo del Comune di #Bologna decretò l’abolizione collettiva della #schiavitù. Quella importantissima riforma, la prima del genere nella storia dell’umanità, fu consapevolmente affidata dalle autorità comunali alla memoria collettiva della città, presente e futura, attraverso il "Liber Paradisus".
Il modello cui il Comune ispirava il suo intervento era il più alto e solenne: la perfetta libertà dell'uomo nel Paradiso Terrestre, corrotta a causa della seduzione diabolica e della conseguente caduta.
Tollerata dalla legge romana e dal diritto comune, la schiavitù era contraria al diritto di natura e alla legge divina e pertanto, si legge nel prologo del registro "la nobile città di Bologna, che sempre si è battuta per la libertà, memore del passato e preparando il futuro, in onore del Signore nostro, Gesù Cristo Redentore, riscattò per denaro tutti coloro che, nella città e nella diocesi di Bologna, trovò oppressi dalla condizione servile e dopo attenta indagine decretò che fossero liberi”.
Alla dichiarazione di intenti del prologo fa seguito l'elencazione puntuale dei nomi dei 5855 "servi et ancillae" e dei loro padroni. Ai proprietari degli schiavi, il Comune pagò il prezzo di 10 lire per ogni maggiorenne (il valore di mercato di un bue) e 8 lire per ogni minorenne, procedendo poi alla loro affrancazione.
Il "Liber Paradisus" è conservato nel fondo Comune-Governo dell’Archivio di Stato di Bologna.
08. #25aprile #Resistenza e #Liberazione
Anche noi vogliamo esporre oggi il nostro #tricolore simbolico per celebrare il 75° anniversario della #Liberazione d'#Italia: una coccarda bianca, rossa e verde che abbiamo trovata allegata a un documento del commissariato straordinario pontificio per le Quattro Legazioni, datato 1833.
La coccarda, provocatoriamente gettata in un camerone della Caserma dei Carabinieri di San Giovanni in Monte, venne prontamente sequestrata e inviata al cardinal Spinola, commissario straordinario per le Quattro Legazioni.
Archivio di Stato di Bologna, Commissariato Straordinario pontificio per le Quattro Legazioni, Atti generali, 1833
09. Viaggio in Italia
Domenica 26 aprile il flash mob digitale promosso dal MiBACT per mantenere gli italiani a contatto con le meraviglie del proprio territorio è stato dedicato alle antiche carte geografiche, tesori degli archivi e delle biblioteche di tutta iItalia.
Noi abbiamo proposto una selezione di raffigurazioni cartografiche della città e del territorio di #Bologna, realizzate fra la fine del XVI e la fine del XIX secolo, conservate presso l'Archivio di Stato di Bologna.
- Mappa scenografica dell'antica #Felsina tratta dalla serie Mappe del fondo dell'Assunteria di confini e acque.
- Carta corografica, amministrativa, politica e giudiziaria della provincia di #Bologna indicante i confini dei comuni, mandamenti e circondari; il numero degli abitanti; la circoscrizione giudiziaria e del collegi elettorali politici; la distanza chilometrica dei singoli comuni dalla città di Bologna e dal rispettivo capo-luogo di circondario; non che la sede delle stazioni della ferrovia, dei RR carabinieri, dei telegrafi, degli uffici postali, del registro e del demanio, delle agenzie delle imposte dirette e del catasto", 1882 (Genio civile, carta amministrativa del 1882)
- corografia di Floriano Ambrosini realizzata nel 1605, "delle cose più notabili contenute fra la parte inferiore del contado di #Bologna e l'alveo del Po di Primaro cominciando dal fiume #Reno nel luogo del taglio nuovo nel commun di Vagarano e seguendo fino ad Argenta (Archivio di Stato di Bologna, Assunteria di confini e acque, Mappe, busta 16)
- immagine settecentesca della #navigazione sul canale di Reno a #Bologna (Gabella Grossa, Mappe e disegni di Filippo Bergamori, t. 831, prospetto del Sostegno del Battiferro)
10. 1° maggio 1890
In occasione della #FestadelLavoro vogliamo ricordare ciò che avvenne a #Bologna la prima volta che si cercò di festeggiare il #PrimoMaggio.
Il 26 aprile del 1890 il questore di Bologna Formichini rendeva nota alla cittadinanza che “in adempimento di superiori disposizioni e per motivi di ordine pubblico” non sarebbero state permesse “processioni o passeggiate collettive, né assembramenti o riunioni in luoghi pubblici od aperti al pubblico” durante la giornata del 1° Maggio.
Era stato il II congresso dell’Internazionale dei lavoratori, tenutosi a Parigi l’anno prima, a scegliere il #PrimoMaggio come giornata di lotta in ogni parte del mondo per la riduzione dell’orario di lavoro a otto ore.
E mentre anche in #Italia, all’approssimarsi della fatidica data, cresceva il numero delle associazioni che avevano scelto di aderire all’appello dell’Internazionale, per evitare disordini e scontri, il Ministero dell’interno aveva deciso di vietare qualunque tipo di manifestazione.
Fu così che anche a #Bologna quel primo 1° maggio si trasformò in una giornata convulsa, che culminò in violenti scontri tra operai e polizia.
Così si legge nel resoconto che fece il prefetto al ministro: «Dopo le tre gli operai usciti dalla sede sociale [della Società operaia, che si trovava in via Cavaliera, oggi via Oberdan] incamminaronsi agitando bandiera rossa verso piazza Vittorio Emanuele per farvi una dimostrazione e rompendo lungo il tragitto alcuni vetri di botteghe. Tutto era disposto per impedire dimostrazione. Fatte le intimazioni, l’assembramento fu sciolto per mezzo della truppa. Formavansi diversi capannelli, udivansi voci diverse alcune delle quali sediziose. Avvenuta colluttazione per sequestro bandiera per cui due accidentali e leggere ferite baionetta. Operati quindici arresti, sopraggiunto squadrone cavalleria accolto da applausi anche piccoli capannelli si sciolsero. Piazza sgomberata. Pare tutto finito».
Alla giornata il settimanale satirico «Bononia ridet» dedicò l’intera prima pagina, con quattro pungenti vignette riguardanti le rappresaglie che avrebbero potuto colpire persino l’anziano Quirico Filopanti (1812 – 1894), eroico patriota e scienziato insigne, consigliere comunale e deputato alla Camera tra le fila repubblicane, anch’egli sceso a manifestare con gli operai presso la sede della Società operaia di via Cavaliera.