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Liber Paradisus (1257)
Liber paradisus
Riproduzioni digitali
consistenza
volume di 66 cc.
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Il Liber Paradisus è il memoriale della liberazione dei servi e delle serve della città e contado, che il comune di Bologna liberò il 3 giugno 1257.
Nel volume sono elencati i nomi dei 5855 servi liberati e dei 379 padroni, introdotti da...Il Liber Paradisus è il memoriale della liberazione dei servi e delle serve della città e contado, che il comune di Bologna liberò il 3 giugno 1257.
Nel volume sono elencati i nomi dei 5855 servi liberati e dei 379 padroni, introdotti da prologhi che esprimono le motivazioni ideali del provvedimento.
Il Memoriale fu approvato al termine di un'operazione legislativa estremamente complessa e condotta a termine con grande rapidità. Il provvedimento era indirizzato a categorie diverse di persone: servi veri e propri, eredi degli schiavi antichi, impegnati dai loro padroni in lavori agricoli e prestazioni d'opera di varia natura; "manenti", cioè coloni di condizione servile legati alle terre padronali; servi "di masnada", che costituivano piccoli eserciti signorili e così via. Per tutti costoro il comune acquistò la libertà, pagandola ai rispettivi padroni al prezzo di 10 lire di bolognini per i maggiori di 14 anni, più o meno il valore di mercato di un bue o di una tornatura di buona terra arativa, e 8 lire per i minori, senza differenza fra servi maschi e femmine.
Della complessa indagine territoriale e della relativa redazione degli elenchi dei servi da acquistare e liberare, furono incaricati quattro notai, uno per quartiere, che redassero gli elenchi a seconda dei quartieri. Tali elenchi vennero pubblicati con la massima solennità nel memoriale del giugno 1257, noto come Liber Paradisus. A quei 5855 nomi fa riferimento lo statuto comunale del 3 giugno 1257, quando dichiara che da quel momento e per sempre quegli uomini e quelle donne, come tutti gli abitanti della città e del contado di Bologna, debbono essere considerati liberi e come tali difesi dal comune e dal popolo di Bologna.
note
In occasione del 750° anniversario del Liber Paradisus, è stata realizzata l'edizione digitalizzata del volume, di cui può essere acquistato il cd.
Liber Paradisus in Complessi archivistici -
Prologhi del Liber Paradisus
Riproduzioni digitali
consistenza
3 cc.
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La redazione dell'elenco dei servi da liberare fu un'operazione complessa, in quanto basata su un'indagine territoriale difficile soprattutto nelle zone appenniniche. L'incarico dell'indagine e della successiva redazione degli elenchi dei servi fu affidato...La redazione dell'elenco dei servi da liberare fu un'operazione complessa, in quanto basata su un'indagine territoriale difficile soprattutto nelle zone appenniniche. L'incarico dell'indagine e della successiva redazione degli elenchi dei servi fu affidato dal podestà Bonaccorso da Soresina a quattro notai, uno per ogni quartiere cittadino, coordinati dal giudice Giacomo Gratacelli. I notai presentarono il frutto del loro lavoro con la massima solennità, facendo precedere l'elenco dei nomi da prologhi.
Ed è così che il Liber Paradisus non ci offre solo l'ordinato elenco dei 5855 servi per i quali il comune pagò ai 379 padroni la cifra complessiva di 53.014 lire di bolognini, ma anche le motivazioni ufficiali di un provvedimento così complesso ed oneroso, in cui la città ha voluto impegnarsi, come dice il testo, "memore del passato e preparando il futuro".
Dei tre prologhi del Liber, l'unico che ha avuto divulgazione è il primo, quello del quartiere di porta Procola, opera del notaio Corradino Sclariti, tradotto e pubblicato già da Cherubino Ghiarardacci ai primi del'600 e utilizzato da Giovanni Pascoli come fonte principale della Canzone del Paradiso, pubblicata nel 1909. Il prologo contiene precisi riferimenti a fonti bibliche, teologiche e giuridiche che collocano il comune in una prospettiva ideologica elevata, in concorrenza con la sovranità imperiale. Nel testo del prologo l'ispirazione ed il modello della liberazione vengono individuati nel paradiso terrestre e nella perfetta libertà originaria dell'uomo, perduta in seguito alla ribellione di Adamo, ma ricreata da Dio attraverso il sacrificio del Cristo Redentore. Nel restituire i servi all'antica libertà, il comune si fa dunque, al tempo stesso, restauratore del diritto di natura e realizzatore del progetto divino di redenzione e poichè la città di Bologna si è distinta nel passato per aver sempre combattuto per la libertà, ora intende abolire nel suo territorio ogni forma di servitù.
Meno elaborato, seppur ispirato agli stessi principi, il prologo del quartiere di porta Piera, opera del notaio Paolo di Giovanni Bresciani, mentre in quello del quartiere di porta Stiera il notaio Ugolino Agresti presenta argomenti diversi: l'origine della servitù viene individuata nelle guerre e nelle conseguenti prigionie, che diffondono fra gli uomini questa "ruggine, in grado di corrodere la società".
Anche la città di Bologna, a causa della grande capacità di contaminazione della condizione servile, vede ogni giorno aumentare il numero dei servi rispetto a quello dei liberi; pertanto, essendo la libertà il più prezioso dei tesori, il comune ha deciso di "estirpare alla radice la macchia della servitù " e di chiamare "all'antica libertà tutti coloro che erano avvinti nei ceppi servili". Di tutto ciò, conclude il prologo, la città deve conservare "perpetua memoria, perchè siano chiare e manifeste queste vicende a chi in futuro vorrà conoscerle". Il notaio Bonvicino Leonardi, che compila l'elenco dei servi di porta Ravegnana, invece non scrive alcun prologo.
allegati digitali
Trascrizione dei prologhi del Liber Paradisus
Traduzione dei prologhi del Liber Paradisus
Prologhi del Liber Paradisus in Complessi archivistici -
Registro Grosso (1116 maggio 15 - 1380 marzo 1)
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Il Registro Grosso è il primo cartulario ufficiale del Comune di Bologna. Promosso dai Procuratori del comune nel secondo decennio del sec. XIII, raccoglie in copia i documenti più importanti per l'autonomia politica della città e per l'acquisizione e...Il Registro Grosso è il primo cartulario ufficiale del Comune di Bologna. Promosso dai Procuratori del comune nel secondo decennio del sec. XIII, raccoglie in copia i documenti più importanti per l'autonomia politica della città e per l'acquisizione e gestione del patrimonio pubblico. La sua compilazione fu affidata ad un gruppo di notai, sotto la guida di Ranieri da Perugia. Di mano dello stesso Ranieri sono i primi quindici quaderni, che riportano gli atti dal 1116 al 1203 e l'ultimo, il cinquantasettesimo, contenente l'atto di divisione con cui il 30 novembre 1223 il controllo del contado bolognese fu suddiviso tra i quattro quartieri cittadini. Il primo documento del Registro Grosso è il privilegio con cui Enrico V il 15 maggio 1116 riconosce alla città il diritto di seguire le proprie consuetudini.Al termine dell'ultimo quaderno vi è la sottoscrizione di Ranieri da Perugia.
riferimenti bibliografici
- L. Savioli, Annali bolognesi, tt. 3, Bassano 1784-94 (trascrizione parziale)
- A. Hessel, Il più antico "chartularium" del comune di Bologna, in "L'Archiginnasio", II (1907), pp. 110-111
- Chartularium Studii Bononiensis, vol. I, a cura di L. Nardi e E. Orioli, Bologna 1909, pp. 1-42 (trascrizione parziale)
- P. Silvani, A proposito del diploma imperiale del 1116, in "AMER", 2 (1937), pp. 167-172
- G. Orlandelli, Il sindacato del podestà. La scrittura da cartulario di Ranieri da Perugia e la tradizione tabellionale bolognese del sec. XII, Bologna 1963
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Registro Nuovo
Riproduzioni digitali
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Indice del Registro Grosso e Nuovo
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Il globo Coronelli dell'Archivio di Stato di Bologna. Una lunga avventura
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Trasferimenti rischiosi, intrighi politici, bombardamenti, vicende conservative al limite del pericolo si intrecciano nell'avventura secolare del globo terrestre di Vincenzo Coronelli di proprietà dell'Archivio di Stato di Bologna.
Il globo celeste che...Trasferimenti rischiosi, intrighi politici, bombardamenti, vicende conservative al limite del pericolo si intrecciano nell'avventura secolare del globo terrestre di Vincenzo Coronelli di proprietà dell'Archivio di Stato di Bologna.
Il globo celeste che dalle origini lo accompagnava, fino a un certo punto compagno di sventure, in seguito fu separato dal compagno e viene considerato perduto. I due globi appaiono ancora intatti, ma come "due mappamondi in cattivo stato", nel 1877, fra le suppellettili conservate nell'Archivio demaniale, presso l'antico convento dei Celestini, che raccoglieva gli archivi delle Corporazioni religiose soppresse nel periodo napoleonico e oltre. Erano quindi un retaggio proveniente dal mondo dei conventi e delle chiese bolognesi. E' stato supposto che il Senato di Bologna avesse ricevuto l'omaggio dei due globi di Coronelli dal Senato veneziano, intorno alla fine del Seicento o all'inizio del Settecento, e li avesse poi esposti in una chiesa, forse Santa Maria dei Servi. In ogni caso, nella seconda metà dell'Ottocento i globi, già malconci, si trovavano all'Archivio demaniale. E con tutto il materiale archivistico delle Corporazioni religiose confluirono nell'appena costituito Archivio di Stato, nella sua sede di palazzo Galvani. Qui vengono segnalati nel 1899 da uno studioso, Matteo Fiorini, che nota come uno di loro sia stato ulteriormente danneggiato dal trasporto.
Dall'Archivio di Stato i globi dovevano ripartire dopo più di sessant'anni, nel 1941, in piena guerra mondiale, per un'altra complessa spedizione, che sarebbe stata a quanto pare fatale per il globo celeste. Il Ministero dell'interno li reclamava a Roma, per un inaspettato quanto necessario restauro (l'Istituto di patologia del libro era stato fondato da pochi anni, per espressa volontà del regime). Gli intenti dovevano essere altri per i globi, i quali sembra che fossero destinati ad avere sede, una volta restaurati, a palazzo Venezia. Si occupò della loro sorte in particolare l'allora sottosegretario agli interni Guido Buffarini Guidi, personaggio di spicco della cerchia di Mussolini e membro del Gran consiglio del fascismo, che arrivò a separare i due globi portando a Pisa, dove risiedeva la sua famiglia, il forse più affascinante globo celeste. In ogni caso questo si deduce da una lettera del ministero di molti anni dopo, dove si parla della distruzione del globo celeste, avvenuta nel 1943 per un bombardamento sul deposito di una fabbrica pisana dove la famiglia Buffarini aveva collocato il prezioso reperto. Non sembra siano state svolte ulteriori inchieste sulla scomparsa di questo bellissimo manufatto, forse appartenente all'edizione del globo celeste dedicata da Coronelli nel 1691 al cardinale Pietro Ottoboni.
La stessa lettera del Ministero dell'interno che comunicava la perdita del globo celeste indicava la sopravvivenza di quello terrestre, che risultava nel 1950 conservato all'Archivio di Stato di Roma e di cui si stava completando il restauro. Ma dovevano passare ancora diciassette anni, e le proteste di molti studiosi, perchè l'Archivio di Stato di Bologna riuscisse a ottenere la restituzione del globo superstite, da allora collocato nel corridoio della Direzione e in seguito all'interno del locale stesso della Direzione. Le condizioni del globo, nonostante o forse proprio a causa di operazioni di restauro interrotte e riprese più volte attraverso il tempo, rimanevano precarie, e non sono migliorate nei successivi quarant'anni. Sul finire del 2007 la necessità urgente di un restauro conservativo moderno e di una nuova collocazione più adeguata dal punto di vista della conservazione hanno indotto la Direzione dell'Archivio di Stato a finanziare il restauro del globo terrestre presso un laboratorio bolognese di provata esperienza, e a richiedere la sua successiva esposizione presso il Museo di Palazzo Poggi, dove potrà essere meglio ammirato dalla città che lo accolse alcuni secoli fa. L'Università si è dimostrata lieta di accogliere la proposta.
Il globo terrestre di Vincenzo Coronelli, restituito alla sua primitiva bellezza dal restauro eseguito con perizia da Manuela Mattioli, con la sua superficie dorata gremita di cartigli e raffigurazioni fantasiose di popoli e paesi, è insieme uno sguardo sulla cultura eclettica del Seicento e un ritorno alla luce di un'opera importante del patrimonio artistico bolognese, di cui si erano in parte perse le tracce, e che ha percorso una lunga storia avventurosa prima di tornare fra noi.
Francesca Boris - le ricerche d'archivio sono state effettuate in collaborazione con Alessandra Scagliarini e Licia Tonelli
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Corporazioni religiose soppresse, Santa Caterina, 101/4027
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Quando nei primi anni venti del Cinquecento il vescovo suffraganeo permise a Barbara di Giovanni Orsi di stabilire a Bologna un monastero di vallombrosane, la badessa, appartenente a una delle famiglie patrizie della città, cominciò a far costruire il...Quando nei primi anni venti del Cinquecento il vescovo suffraganeo permise a Barbara di Giovanni Orsi di stabilire a Bologna un monastero di vallombrosane, la badessa, appartenente a una delle famiglie patrizie della città, cominciò a far costruire il convento dapprima in strada Santo Stefano vicino alla porta; poi, trovando il luogo troppo angusto, lo trasferì in Strada Maggiore. Ottenne a tale scopo la separazione di santa Maria del Torleone dalla commenda di Monte Armato: quindi, il 24 luglio del 1526 fu consegnata alle monache la chiesa detta di Santa Maria del Torrilione, il campanile, la casa conventuale, l'orto, terreni e case di proprietà della chiesa.
Nel corso del sec.XVII le monache chiesero al Senato bolognese di potersi espandere come spazi, e la nuova chiesa di santa Caterina sostituì quella vecchia di santa Maria del Torleone, insieme al monastero, a cui lavorò fra altri l'architetto Antonio Morandi detto il Terribilia. Nel 1612, sempre col permesso del Senato, fu anche aggiunto il portico sulla Strada Maggiore. Nel 1798 il monastero venne soppresso e la chiesa trasformata in parrocchia. La parrocchia, soppressa nel 1805, fu ripristinata con altri confini nel 1824.
Fra le 110 unità archivistiche che compongono il fondo delle vallombrosane di santa Caterina, all'interno del più grande archivio delle Corporazioni Religiose Soppresse o Demaniale, il ritrovamento più prezioso è stato quello delle pergamene miniate con le professioni di fede delle monache, contenute nella busta n. 101/4027. Si trattava di 135 pergamene, più altre carte con disegni o anche privi di miniature. Alcune pergamene erano intaccate da umidità e danni inferti anche da mani umane, ma ancora in discreto stato di conservazione. Hanno come estremi cronologici il 1500 e il 1771, e sono contrassegnate dalle preghiere e dai nomi delle singole monache che professano la loro fede: si va dai cognomi dell'aristocrazia senatoria a quelli della borghesia commerciale o notarile della città. Due pergamene risultano appartenere al monastero dei Santi Vitale e Agricola, anch'esso di monache benedettine. Possiamo dunque presumere che miniare le professioni di fede fosse una consuetudine particolarmente curata dalle benedettine.
Le pergamene dell'Archivio di Stato erano già state segnalate dagli studiosi, ma solo nel 2013, grazie all'Associazione "Il Chiostro dei Celestini. Amici dell'Archivio di Stato di Bologna", il restauro ha potuto essere portato a termine presso il Laboratorio di legatoria e restauro dell'Archivio di Stato.
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